Il mio vecchio e consunto libro di clinica ortopedica definisce molto semplicemente la scoliosi vertebrale come:

una deviazione permanente del rachide sul piano frontale “. (1)

Il carattere “permanente” differenzia le scoliosi organiche dalle scoliosi funzionali, cosiddette perché non presentano alcuna alterazione anatomica e si manifestano quando la colonna è “in funzione”, cioè nella stazione eretta, mentre tendono ad attenuarsi o scomparire in posizione di riposo.

Le alterazioni funzionali

L’importanza delle alterazioni funzionali è emersa dalle ricerche effettuate sul rachide di 40.000 soggetti da Tribastone (2) le quali hanno evidenziato come il 92% degli individui presenti disfunzioni vertebrali posturali (paramorfismi), solo il 2,5% alterazioni strutturali (dimorfismi) mentre il 5,5% è nella “norma”.

In realtà oggi sappiamo che la “norma” è rappresentata proprio da quella quota del 92% di paramorfici. La simmetria strutturale non è la norma fisiologica.

L’acquisizione di schemi elicoidali crociati di movimento che inizia con il gattonamento e si completa con la deambulazione bipede ci porta inevitabilmente ad essere neurologicamente lateralizzati (pattern destrimane e mancino) e quindi asimmetrici. Caso mai si tratta di stabilire quando e come un’asimmetria funzionale sfocia nella patologia.

Le scoliosi idiopatiche

Le scoliosi organiche sono invece causate da alterazioni delle componenti ossee, legamentose e muscolari della colonna vertebrale e vengono classificate in:

  • congenite
  • sintomatiche (distrofiche, infiammatorie, traumatiche, neoplasticiche, neurogene, cicatriziali)
  • essenziali o idiopatiche

Fra le scoliosi organiche, le cosiddette “idiopatiche” sono le più frequenti e sono in genere scoliosi ad ampia curvatura che si manifestano soprattutto all’epoca della pubertà con una netta predilezione per il sesso femminile.

Si ritiene che possano avere importanza nell’insorgenza di tali scoliosi una lassità dell’apparato capsulo-legamentoso della colonna (maggiore incidenza in soggetti longilinei astienici leptosomici) e uno squilibrio tra il rapido accrescimento scheletrico proprio dell’adolescenza e la muscolatura paravertebrale.

In realtà il termine “idiopatico” usato per classificare questo tipo di scoliosi la dice lunga circa le conoscenze che l’ortopedia classica ha della sua eziopatogenesi.

Purtroppo, quando non si conosce l’origine di una malattia la terapia non può essere che sintomatica, con risultati difficilmente predicibili e raramente soddisfacenti. Quella classica prevede per le scoliosi con modesta angolazione (meno di 20°) la ginnastica correttiva, volta a rinforzare la muscolatura paravertebrale e dorsale, mentre per angolazioni maggiori si ricorre a busti gessati e/o ortopedici che mantengano forzatamente il rachide in una presunta posizione corretta fino alla maturità ossea. Infine, nelle scoliosi più gravi, si ricorre all’intervento chirurgico di artrodesi vertebrali, devastante dal punto di vista biomeccanico.

Uno dei protocolli ortopedici più utilizzati nell’adolescente è quello Lionese che prevede l’utilizzo di busti gessati nella prima fase, seguiti da corsetto ortopedico e rieducazione funzionale per molto tempo. Nelle scoliosi cervico-dorsali e dorsali in età prepubere viene purtroppo tuttora prescritto un altro tipo di corsetto, il Milwaukee, costituito da una parte pelvica in plastica collegata ad una sovrastruttura ad aste metalliche verticali munite di “pelote a cunei di spinta” dorsali e lombari, che agiscono sulle deformità ma provocano spesso dolore e ulcerazioni da pressione.

Le aste sono sormontate da un collare ad appoggio mentoniero tristemente noto anche a noi ortognatodontisti per  i deleteri effetti sulla postura e crescita mandibolare. Il fatto poi, per nulla confortante, che ricerche eseguite da numerosi autori, (3) mostrino come dopo un iniziale miglioramento apparente si abbia a distanza di anni una recidiva con un ritorno dei valori in gradi preesistente o addirittura un  peggioramento, dovrebbe porre seri dubbi circa l’utilizzo di tali trattamenti.

Personalmente mi chiedo come si possa anche solo immaginare d’imbrigliare un adolescente in simili “corazze” che provocano, oltre a dolore fisico un ben più grave disagio psicologico e socio- relazionale, in un soggetto il cui equilibrio psichico è già originariamente perturbato!

La scoliosi non è semplicemente la patologia di un singolo distretto corporeo

La scoliosi non è semplicemente la patologia di un singolo distretto corporeo (la colonna vertebrale)  ma è l’espressione di uno squilibrio posturale e la postura non è semplicemente la posizione del corpo nello spazio ma è anche il riflesso di come la persona elabora ed esprime la sua immagine corporea sulla base di sensazioni, emozioni e storia personale, di come si pone rispetto a sé stesso e rispetto agli altri.

Si consiglia la lettura dei testi citati in bibliografia (4,5,6) per l’approfondimento.

Emerge dunque la necessità di un approccio globale al problema e ciò è reso possibile solo da un sistematico esame del sistema cibernetico posturale e di come le varie subunità recettoriali che lo compongono (psicomotricità compresa), concorrono a determinarne o ad alterarne l’omeostasi.

La scuola di R.J. Bourdiol, (7) grande anatomista, antropologo e neurofisiologo, scomparso da pochi anni e che ho avuto la fortuna di conoscere, sostiene che l’eziologia della scoliosi sia neurologica con implicazione diencefalica e più specificatamente del Tuber Cinereum.

Ora, la regione del Tuber, possiede un ruolo primario nella regolazione gonadica e la scoliosi è una malattia dell’adolescente prepubere che comincia insidiosamente all’epoca della pubertà e termina la sua evoluzione quando l’osteogenesi dell’ala iliaca è completata, come indicato dal test di Risser.

Il Tuber Cinereum è situato alla base del III Ventricolo, costituito da talamo, ipotalamo e ipofisi, insieme all’ependima ed allo spazio che contiene il liquido cefalo-rachidiano, intimamente connesso con la Sostanza Reticolare Mesencefalica in cui sono situati i centri vitali della respirazione, del ritmo cardiaco, della pressione sanguigna e del tono ritmico posturale.

Il collegamento tra queste zone ed il sistema limbico, considerato l’epicentro delle emozioni e delle motivazioni appropriate, costituisce il legame anatomo-funzionale tra struttura, biochimica e psiche oggi avvalorato dalla PsicoNeuroEndocrinoImmunologia (P.N.E.I.).

Cos’è la PNEI

La P.N.E.I è un concetto nuovo, sviluppato dall’esigenza di una visione unitaria nello studio del funzionamento e delle relazioni tra i grandi sistemi di regolazione dell’organismo: la Psiche, il Sistema Nervoso, il Sistema Endocrino, il Sistema Immunitario. In essa è dunque racchiuso il significato di Omeostasi.

Essa nasce dall’evidenza che la secrezione endocrina interna è finalizzata a regolare fisiologicamente l’integrità dell’organismo vivente, non esclusa la performance mentale.

È un sistema omeodinamico, presente ad ogni livello di organizzazione biologica, la cui caratteristica principale è l’organizzazione a “rete”.

Questo “network” è strutturato sui rapporti anatomici e funzionali, di tipo non gerarchico, esistenti tra i vari elementi che compongono il Sistema; ogni variazione che si realizza in ciascuno di essi si ripercuote su tutti gli altri trasversalmente, determinando un riaggiustamento dell’intero organismo. (8,9)

Il regolatore del sistema, vero e proprio volano d’inerzia, filtro e amplificatore di tutte le afferenze ed efferenze corticali e cerebellari che regolano l’attività motoria è rappresentato dalla Sostanza Reticolare (S.R.).

Nei nuclei della S.R. mesencefalica, sono situati gruppi di neuroni che si definiscono “generatori di pattern centrali “(CPG) che, quando stimolati, inviano segnali efferenti a gruppi di cellule in sede caudale, originando specifici pattern di movimento. (Willis1985).

Gli impulsi discendenti sono trasportati al midollo spinale da due fasci:

  • Fascio reticolo spinale laterale, che possiede un’azione inibitoria sui nuclei del corno anteriore del midollo spinale.
  • Fascio reticolo spinale mediale con azione facilitatoria sui nuclei del corno anteriore.

Mediante gli interneuroni, condizionano gli alfamotoneuroni (AMN) e gammamotoneuroni (GMN) che attivano la funzione muscolare.

I due fasci sinapsano, inoltre, con i motoneuroni (MN) e AMN della colonna intermedio-laterale (IML) da cui variazioni sistemiche e locali delle funzioni di Simpatico (OS) e Parasimpatico (PS), con effetto specifico e prevedibile sullo stato di integrazione centrale degli AMN e dunque, sui pattern di forza e debolezza muscolare.

Quindi, la qualità dell’equilibrio neurovegetativo ed ogni sua variazione, fisiologica o patologica, può essere letta nel tono muscolare posturale statico e dinamico.

Tornando all’ipotesi Bourdiol, egli ritiene che un iniziale atteggiamento scoliotico (che ricordiamo è fisiologicamente legato alla lateralità corticale) degenera in una vera scoliosi quando il sistema tonico-posturale viene interessato da una importante deficit reticolare in grado di determinare un’iperlassità legamentosa, in primis a livello dei due estremi della colonna vertebrale, la regione occipito-atlantoidea e il passaggio lombo-sacrale e, successivamente, a tutto il complesso dei muscoli Trasversospinali.

I fasci del Trasversospinale (Multifidus) che, dall’apofisi spinosa di C2 partono divergendo per inserirsi sulle traverse delle vertebre sottostanti, costituiscono ad ogni livello vertebrale un sistema di muscoli fra loro embricati, che mette in relazione le spinose soprastanti con le trasverse sottostanti, a partire da C2 fino al sacro.

In questo modo, tutte le flessioni laterali e le torsioni elicoidali del rachide, di qualsiasi tipo e localizzazione siano, finiscono per interessare C2 (e quindi la mandibola!) e, attraverso il muscolo grande obliquo, C1 e C0.

I muscoli Multifidi appartengono alla catena muscolare Postero-Anteriore (PA) che detiene un compito fondamentale per l’omeostasi posturale: il mantenimento della Estensione assiale!

Attraverso la coaptazione vertebrale tale catena ci appende letteralmente ad un punto fisso rappresentato dal tubercolo faringeo del basion occipitale e dai processi stiloideo e mastoideo del temporale.

Se, a causa di un deficit propriocettivo la sua azione viene meno funzioni primarie come respirazione, deglutizione, fonazione non potranno svolgersi correttamente, il punto fisso si sposterà verso il basso e ci sarà il prevalere di una delle altre catene muscolo-fasciali dell’asse verticale (AM e PM) che daranno una tipica impronta patologica (flessa od estesa rispettivamente) alla postura sagittale del soggetto.

L’organizzazione posturale è in senso cranio-caudale, inizia e si sviluppa con l’accrescimento cranio-facciale, ergo le funzioni del sistema stomatognatico sono essenziali per la sua omeostasi! In assenza di una corretta verticalità, anche le catene dell’asse orizzontale, Antero-Laterale (AL) e Postero-Laterale (PL), quelle che ci permettono di muoverci, di camminare e di masticare, entreranno in disfunzione per compensare il disequilibrio, instaurando un pattern torsionale.

Ricordiamoci che un punto chiave di passaggio tensionale delle catene laterali è rappresentato dalle articolazioni temporo-mandibolari che, analogamente alle articolazioni gleno-omerale, coxo- femorale e tibio-astragalica, sono dei veri e propri “sistemi tampone” atti ad assorbire le tensioni miofasciali a protezione del cranio e del rachide.

Questo è un concetto focale delle correlazioni occluso-posturali:

“Quando è presente un pattern torsionale, fisiologico (torsione deambulatoria), parafisiologico (atteggiamento scoliotico) o francamente patologico (scoliosi vera) che sia, le articolazioni temporo-mandibolari sono sempre interessate sia in senso causativo che adattativo ed il loro grado di disfunzione è direttamente proporzionale all’entità della torsione stessa.”

Per l’approfondimento di questi concetti fondamentali si consiglia di consultare i testi dell’Autore citati in bibliografia (10,11).

L’approccio degli ortognatodontisti

Questa premessa ci dovrebbe far riflettere sul fatto che noi odontoiatri e più specificatamente noi ortognatodontisti operiamo in un “campo minato” estremamente delicato perché condizionato e condizionante l’intero equilibrio posturale.

Le domande che dovremmo porci sono essenzialmente due:

  • È possibile che i nostri trattamenti siano causa di disequilibrio posturale e quindi di alterazioni vertebrali?
  • Nel caso di un paziente maloccluso già affetto da scoliosi, dobbiamo intervenire a trattare la malocclusione, e se sì, quando e in che modo?

Mi pare che la risposta alla prima domanda sia purtroppo già insita nelle su esposte considerazioni, sebbene alcune scuole di pensiero si ostinino a ripetere che non esistono sufficienti “riscontri scientifici” che possano comprovarle.

La risposta alla seconda domanda dipende essenzialmente dal tipo e soprattutto dallo stadio evolutivo della scoliosi.

Nel paziente in crescita con scoliosi essenziale evolutiva è assolutamente controindicata qualsiasi procedura che vincoli l’occlusione.

In linea generale è da evitare qualsiasi terapia fissa ed in particolare quelle miranti all’ottenimento di un rapporto dentale ideale di Classe I bilaterale e linee mediane centrate ad ogni costo.

Ricordiamoci che il paziente affetto da scoliosi è costantemente alla ricerca del suo equilibrio  attraverso meccanismi di compenso e di adattamento, tra i quali figurano in primo piano le articolazioni temporo-mandibolari e l’occlusione.

Intrappolare i denti secondo uno schema ideale, in un paziente che ideale non è, equivale a bloccare un’importante “via di fuga” delle tensioni mio-fasciali che stanno cercando di organizzarsi.

Bene che vada (al paziente), il trattamento ortodontico fallirà e si manifesterà la recidiva della malocclusione. Se, a seguito di contenzioni dentali fisse o mobili prolungate, ciò non avvenisse, il primo sistema di adattamento che salterà saranno proprio le articolazioni temporo-mandibolari.

Il nostro trattamento dovrebbe perciò essere rivolto primariamente al loro riequilibrio con apparecchiature funzionali nel quadro di un più generale riequilibrio posturale globale (RPG) che rimane a tutt’oggi l’unica terapia in grado di arrestare e stabilizzare il processo scoliotico.

Una volta che questo obbiettivo sia stato raggiunto, alla fine dell’accrescimento (la colonna vertebrale si assesta intorno ai diciotto anni nella femmina e ai venti anni nel maschio) si potrà decidere di rifinire l’occlusione con terapia fissa ma lo si farà nell’assoluto rispetto dello schema cranio-posturale individuale che il paziente avrà raggiunto.

Questo potrebbe voler dire non riuscire ad ottenere dei perfetti rapporti dentali di Classe I bilaterale, potrebbero residuare deviazioni delle linee mediane o piccoli affollamenti incisivi.

Vale la pena rischiare questi piccoli inconvenienti estetici a fronte della salvaguardia di un equilibrio che il paziente si è faticosamente guadagnato?

Lo stesso discorso vale per il paziente maloccluso con scoliosi meccanica (paramorfismo) causata da disfunzione recettoriale extrastomatognatica. Il trattamento occlusale potrà essere intrapreso solo dopo un’adeguata riprogrammazione posturale.

Nel caso invece che la nostra diagnosi clinica, radiologica (cefalometria, Rx-ATM e rachide etc.), strumentale (pedana posturo-stabilometrica, kinesiografia ed elettromiografia cranio-mandibolare) abbia rilevato nell’occlusione la causa primaria del disequilibrio posturale dovremo giocoforza intervenire, con terapia funzionale in dentatura decidua e mista e con apparecchiature fisse e/ o protesi in dentatura adulta.

Per farlo avremo però bisogno di riferimenti che non possono più essere quelli della classica diagnosi gnatologica ed ortodontica.

In primo luogo, sarà necessario determinare una posizione condilare, fisiologica per quel particolare paziente, che non sia condizionata né dall’occlusione né da fattori extrastomatognatici.

È la mia definizione di Relazione Centrica Funzionale (RCF) intesa come:

“Punto di equilibrio ottimale tra condili mandibolari e fosse temporali a partire dal quale il movimento mandibolare si possa espletare nella maniera più vicina possibile a quella fisiologica, in armonia con la postura cervicale e linguale, ottenuta dopo reset posturale”.

Solo attraverso un esame dei modelli montati in articolatore sulla base di una cera di RCF saremo in grado di determinare come modificare i rapporti dentali intra ed interarcata e stabilire un piano occlusale che sia in armonia con l’architettura cranio-facciale e con la postura cervicale.

Il concetto di Relazione Centrica Funzionale e la sua procedura di rilevamento viene ampiamente descritto nel mio libro “Ortognatodonzia Sistemica”.

L’obbiettivo che mi piacerebbe fosse raggiunto è quello di far riflettere gli odontoiatri, e in particolare gli ortodontisti, sul ruolo primario che essi possono avere nella prevenzione e cura delle patologie rachidee.

Autore: Dr. Giuseppe Stefanelli

Estratto dal libro “Odontoiatria e Sport” EdiErmes Milano 2009

Bibliografia

  1. Cabitza P., Lezioni di Clinica Ortopedica, Ed Cortina, Milano 1975
  2. Tribastone, Compendio di ginnastica correttiva. Soc. Stampa Sportiva. Roma 1985
  3. De Mauroy J.C., La Scoliose: traitement ortopedique conservateur. Montpellier, Sauramps Medical, 1997, pp211-212
  4. Mezieres F., Originalità de la Methode Mezieres, Maloine S.A. Editeur, Paris, 1984
  5. Bertelè L., Il tuo corpo ti parla, Baldini e Castoldi, Milano, 1995
  6. Franzoni M., Cura ed emozioni: quale incontro possibile nella scoliosi., 2005, Pubblicazione privata
  7. Bourdiol J., L’ortostatismo e le scoliosi. Seminario 19-22 ottobre 1995
  8. Bottaccioli,F.: PsicoNeuroImmunologia.Ed.Red.Como,1995
  9. Biondi,M.: Mente, cervello e sistema immunitario. Ed. McGraw-Hill,1997
  10. Stefanelli G., Ortognatodonzia Sistemica, EdiErmes Milano 2006
  11. Stefanelli G., Sistema Stomatognatico nel Contesto Posturale, EdiErmes Milano 2003
  12. Stefanelli G., Ortognatodonzia e Scoliosi Vertebrale. Da “Odontoiatria e Sport” Cap.10; 255-

264. EdiErmes, Milano 2009