Ogni essere umano è una combinazione diversa pur essendo tutti formati dagli stessi mattoni, ma ognuno ha subito un dramma differente che ci segna nel profondo.

Non siamo soltanto un insieme di atomi, o un insieme di sostanze chimiche uguali, siamo pure un insieme di storie tanto tipiche ed universali quanto sono gli atomi che ci costituiscono. I drammi che ci impregnano sono quelli classici, quello della colpa, quello della vendetta, quello della espiazione, quello del tradimento e molti altri. Cambia lo scenario, cambiano i costumi, cambiano i personaggi, cambiano le epoche, ma il filo conduttore è sempre quello ed è riconoscibile. Ci piace andare al cinema o a teatro perché quello che succede lì ha qualcosa in comune con quello che succede a noi. I drammi universali sono copioni anche se è vero che i drammi particolari che impregnano la vita di persone diverse sono pure diversi tra loro. Lo sono anche i malati che il medico segue, ma il medico lo può fare proprio perché le somiglianze tra i diversi casi ci permettono di parlare di malattie tipiche e di aiutare un paziente usando ciò che ha appreso con un altro. Per uno medico gnatologo o per un ortodontista, per esempio, è evidente che Le disfunzioni temporo-mandibolari e/o le mal occlusioni hanno tutte fisicamente qualcosa in comune, che è diverso da ciò che hanno in comune le cardiopatie o le pneumopatie. Possiamo dire per analogia che la storia o il dramma particolare nascosto in qualsiasi malato di una determinata malattia è tipico di quella malattia e diverso dai drammi che ne configurano altre. Quando una persona, in un dato momento, mette la sua vita nel significato di una storia diventata per lei insopportabile, e la nasconde allontanandola dalla coscienza, quella storia è un “dramma” che rimane fermo nel tempo. Le malattie contengono nascoste diverse “storie” e ognuna di queste storie, tanto tipiche ed universali quanto i disturbi organici che il malato “costruisce” per mascherarle, si presenta nella sua coscienza, e in quella dell’osservatore come un disturbo corporeo diverso.

E qui viene il punto: “la coscienza dell’osservatore” vale a dire del terapeuta. Un rapporto medico-paziente adeguato non può non influire sulla coscienza del terapeuta. Agli albori della mia attività di “Medico Olistico”, forte dei miei studi di Medicina, Osteopatia, Terapia manuale e del dolore, Omeopatia, Omotossicologia e Medicina Funzionale, Agopuntura, Ipnosi Ericksoniana, PNL, Bionergetica di Lowen, Psocodinamica , e chi ne ha più ne metta, mi sentivo invincibile e sicuro di poter curare qualsiasi paziente. In pieno delirio di onnipotenza indagavo e presumevo di curare a 360° il paziente fino ad esplorare, attraverso le diverse chiavi interpretative delle suddette discipline, gli aspetti più nascosti della psiche umana. Ma non avevo fatto i conti con la mia storia e con i miei “drammi” personali e quindi con la mia capacità di assorbire quelli degli altri. Non sarà per caso che gli psicoterapeuti devono obbligatoriamente sottoporsi loro stessi ad osservazione psicoanalitica prima e durante il loro esercizio professionale. Come è possibile trattare i “drammi” dei pazienti se prima non risolviamo i nostri?

Fu questo il motivo principale che mi convinse a tornare ad occuparmi essenzialmente dell’aspetto fisico, strutturale della patologia, cioè di quello che posso vedere e toccare della stessa, cercando di demandare ad altri (approccio multidisciplinare) la terapia delle altre componenti. Oggi, nell’era di Internet, assistiamo alla diffusione di proposte terapeutiche mirabolanti, alla formazione di gruppi di pazienti sofferenti di svariate patologie che si confortano a vicenda disillusi dalla medicina ufficiale che non è in grado di dar loro risposte adeguate. È pur vero che la medicina e la chirurgia moderna dovrebbero accettare l’ineluttabilità della morte e invece di continuare a cercare cure improbabili per malattie impossibili dedicarsi a migliorare la qualità della vita ma attenzione, diffidate da chi vi propone la soluzione ottimale di tutti i vostri problemi, la panacea universale non esiste.

Oggi sono più che mai convinto che noi medici non guariamo nessuno, ma potremmo essere già molto soddisfatti se riuscissimo ad innalzare la soglia di tolleranza del paziente contro il “mal di vivere”.

Giuseppe Stefanelli

NB: la prima parte è liberamente tratta da “Le cose della vita” di Luis Chiozza

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