Il concetto che il sistema stomatognatico sia meccanicamente e funzionalmente connesso a distretti corporei lontani fra di loro è affascinante e inquietante allo stesso tempo per il neofita che vi si accosta.

Il filosofo Karl Popper distingue tre tipi di personalità scientifiche:
quelli che fanno qualcosa per cambiare le cose
quelli che osservano cambiare le cose
quelli che non si accorgono che le cose sono cambiate.
Di quest’ultima categoria fanno parte coloro i quali, pur nella convinzione di operare nel giusto senso, preferiscono affidarsi alle “certezze” di predecessori illustri che affrontare “l’imponderabilità del nuovo”.
Pur rispettando le scelte personali di ognuno, non possiamo fare a meno di riconoscere che l’odontoiatria e la medicina in generale, di cui siamo figli, non sono scienze esatte; di conseguenza tali certezze sono spesso contestate, revisionate o dimenticate.

Lo studio delle correlazioni tra occlusione dentale e postura corporea incontra grandi difficoltà in relazione alla supposta mancanza di riscontri “scientifici” obbiettivamente riproducibili e alle motivazioni per le quali tali riscontri, se considerati in termini strettamente riduzionistici, probabilmente non si potranno avere mai. Sembrerebbe che il mondo accademico non si sia accorto che il XX secolo ha visto una vera e propria rivoluzione in campo scientifico e che si è verificato un radicale mutamento di paradigma. La concezione riduzionistica e analitica cartesiana ha lasciato il posto ad una visione “sistemica” (olistica) della scienza e della vita che impone una rivalutazione del concetto stesso di obbiettività scientifica.

Nel paradigma cartesiano si ritiene che le descrizioni scientifiche siano obbiettive, ossia indipendenti dall’operatore e dal processo di conoscenza. Il nuovo paradigma indica invece che l’epistemologia, cioè la comprensione del processo di conoscenza, debba essere esplicitamente inclusa nella descrizione dei fenomeni naturali e divenire parte integrante delle teorie scientifiche.
La Scienza non può risolvere il mistero ultimo della natura. E ciò perché, in ultima analisi, noi stessi facciamo parte del mistero che stiamo cercando di risolvere”. Max Planck (1858-1947)

Sulla base del pensiero dell’approccio sistemico, la Cibernetica, scienza madre del computer digitale, nel tentativo di fornire una spiegazione matematica ai meccanismi neurali che sottostanno alla mente umana, assimila l’intelligenza umana ed il funzionamento del cervello a quella di un computer al punto tale che la cognizione, il processo della conoscenza, venne definita come elaborazione dell’informazione, cioè come trasformazione di simboli sulla base di un insieme di regole. Recenti sviluppi delle scienze della cognizione hanno invece chiarito che l’intelligenza umana è completamente diversa da quella delle macchine. Il sistema nervoso non elabora alcuna informazione ma interagisce con l’ambiente modificando di continuo la propria struttura. Inoltre, l’intelligenza, la memoria, le decisioni umane non sono mai completamente razionali ma sono sempre modulate dalle emozioni. La mente umana pensa per mezzo di idee, non di informazioni e le idee sono degli schemi integranti che non derivano dall’informazione ma dall’esperienza.

Per dirla invece con Nietzche “ciò che contraddistingue le menti veramente originali non è l’essere i primi a vedere qualcosa di nuovo, ma il vedere come nuovo ciò che è vecchio, conosciuto da sempre, visto e trascurato da tutti” (da Filosofare con il martello).
Viene spontaneo chiedersi come mai non siamo mai riusciti a vedere qualcosa che abbiamo sempre avuto davanti agli occhi!
Senza voler scadere nella retorica, la verità palese è che l’eccesso di tecnicismo e la frammentazione settoriale della medicina ci ha fatto perdere di vista “l’individuo” nel suo insieme, oltre ad atrofizzare le nostre capacità di giudizio e di diagnosi clinica.
E’ fuor di dubbio che i concetti di riproducibilità e misurabilità, necessari per poter ritenere “scientifica”, e quindi “vera”, l’interpretazione di un fenomeno, hanno steso un velo su tutto ciò che non risponde a questi criteri. Il risultato paradossale, e per nulla scientifico, è che in questo modo si nega l’esistenza di tutto ciò che ancora non si conosce e non si comprende, ma vuole anche dire negare a milioni di persone nel mondo la possibilità di mantenere e/o migliorare il proprio stato di salute. In effetti discipline definite come “complementari o alternative” quali la Posturologia, l’Osteopatia, la Kinesiologia Applicata, l’Omeopatia e Omotossicologia, l’Agopuntura, sono vittime di questa vecchia impostazione ideologica.

In particolare la Posturologia si porta inesorabilmente dietro due imperdonabili peccati originali: il primo è rappresentato dal fatto che essa è qualcosa che varia da individuo a individuo, è come la nostra impronta digitale, unica e irripetibile; il secondo è che necessita di quel famoso approccio multidisciplinare da tutti auspicato, ma da pochi veramente attuato.
Probabilmente sto delirando ma ritengo che lo studio della Postura potrebbe essere il fil rouge, il mezzo attraverso il quale tutti potremmo dialogare seguendo un linguaggio comune; basterebbe che l’Università la inserisse tra le materie d’esame di tutte le specialità mediche.

Vogliamo sottolineare, infine, che a distanza di tempo, lo Studio Stefanelli continua a seguire questa filosofia di pensiero.

Prof. G. Stefanelli